Molto spesso ci troviamo a dover fare i conti con diagnosi errate o superficiali, accompagnate da ritardi nell’esecuzione di esami diagnostici che vanno ad incidere inevitabilmente e negativamente sulle chance di successo di cura della patologia o addirittura di sopravvivenza del paziente stesso, soprattutto in ipotesi di malattie gravi come quelle oncologiche.
Ecco che in tale contesto si inserisce il danno da c.d “perdita di chance“, una tipologia di danno riferita alla perdita di possibilità di accedere a cure puntuali e mirate a causa di erronee o superficiali diagnosi da parte del medico curante.
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ToggleIl danno da c.d "perdita di chance"
Questa tipologia di danno – da c.d “perdita di chance” – non è nuovo nel panorama giuridico, ed anche se la legge non si è ancora pronunciata sul tema, le fonti ci arrivano direttamente dalla giurisprudenza, la quale, nel corso degli anni, è stata chiamata più volte a pronunciarsi su quelle ipotesi in cui il danno consista nella perdita della possibilità di conseguire un determinato bene, pretesa che trova il suo fondamento su una ragionevole aspettativa che si è venuta a creare e che è stata compromessa.
Più in particolare, in ambito medico il danno da c.d “perdita di chance” può definirsi come quel danno derivante da un comportamento tenuto dal professionista sanitario e idoneo a incidere sulla qualità (e molte volte sulla durata) della vita del paziente, come lo può essere ad esempio il ritardo nella diagnosi di un disturbo che, nel tempo di attesa, ha peggiorato i sintomi, o ancora, il ritardo nell’esecuzione di un intervento un intervento medico-chirurgico necessario al paziente che nel periodo di ritardo nell’esecuzione della prestazione è peggiorato a tal punto che l’intervento non risulta più possibile.
Come più volte ribadito dalla stessa Corte di Cassazione infatti, l’errore diagnostico non si configura solamente in ipotesi di errata diagnosi e cura da parte del medico, ma si configurerebbe anche nell’ipotesi di condotta omissiva, ossia la mancata predisposizione di controlli ed accertamenti doverosi, carenza che comporta inevitabilmente il protrarsi dei tempi necessari per trovare la giusta terapia.
Perdita di chance e quantificazione del danno
L’idoneità della chance a costituire elemento fondante la pretesa risarcitoria è rilevante ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, determinato in via equitativa dal giudice tenendo conto di quelle che sarebbero state le effettive possibilità di guarigione (o sopravvivenza) o anche solo di miglioramento della qualità della vita che il paziente avrebbe potuto ottenere nell’ipotesi in cui il comportamento del sanitario non fosse stato viziato da un errore medico.
In particolare, il giudice sarà chiamato a valutare in concreto – al fine della liquidazione del danno da perdita di chance – quale sia stata:
- da un lato, la sofferenza patita dal paziente in prima persona o del congiunto malato;
- dall’altro, se e come l’errore medico abbia compromesso la sfera affettiva familiare, tenendo conto dell’intensità del vincolo familiare (grado di parentela), delle abitudini di vita, dell’età, dall’eventuale convivenza in essere al momento di un eventuale decesso e di ogni altro indice che reputi interessante.
Come ottenere il risarcimento
Il risarcimento può essere accordato se vengono provati i presupposti della chance ossia:
a) l’esistenza di un’aspettativa giuridica (in questo caso medica) oramai perduta;
b) la probabilità di conseguirla o meno (solitamente superiore al 50%);
c) quanto tale probabilità incide sulla quantificazione del danno.
Sulla risarcibilità del danno da perdita di chance: l’importanza del nesso causale
L’individuazione del nesso di causalità tra la condotta colposa del medico e l’esito insoddisfacente per il paziente non è sempre agevole o possibile.
In termini di probabilità infatti, non è affatto facile dimostrare che anche in ipotesi di condotta ineccepibile del medico l’esito sarebbe stato diverso, ossia più favorevole: la c.d chance perduta deve rappresentare una concreta ed effettiva occasione per il paziente di conseguire un determinato risultato favorevole, ossia il soggetto danneggiato deve cioè dimostrare che, in ipotesi di corretta diagnosi avrebbe realmente potuto ottenere il beneficio medico sperato o quantomeno avrebbe evitato l’esito infausto se non fosse stato per il comportamento del medico.
Ecco che la prova della relazione tra la condotta lesiva e il danno si pone come elemento imprescindibile per poter avanzare una richiesta di risarcimento del danno, perché se così non fosse si correrebbe il rischio di liquidare – ogni volta che ci si trovi davanti a negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza delle linee guida da parte del medico – un danno derivante dalla mancata possibilità di ottenere un risultato positivo che non avrebbe potuto essere raggiunto nemmeno con un’esatta esecuzione della prestazione sanitaria.
I limiti della c.d “perdita di chance” nella responsabilità medica
La mancanza di una normativa ad hoc in tema di danno da c.d “perdita di chance” in considerazione del già labile confine tra danno biologico e danno non patrimoniale, fa si che nella maggior parte dei casi nei quali questa chance viene evocata finisca per rientrare in una diversa categoria concettuale da tempo utilizzate, ossia quella di danno emergente o quella di lucro cessante, non permettendone un emersione come nuova categoria in tema di dibattito sulla responsabilità (sia aquiliana che contrattuale), se non per i soli aspetti che riguardano i diversi profili della quantificazione del danno.
Non solo, un ulteriore limite posto da questa categoria emergente di danno è dato dalla difficile individuazione e prova del nesso eziologico alla base della perdita di chance subita dal paziente: è il paziente vittima di negligenza medica che lamenta la perdita dell’occasione a dover dimostrare la preesistenza della chance nella propria sfera soggettiva al momento dell’omissione da parte del medico.
Solo la chance persa preesistente al momento dell’errata o mancante diagnosi è considerata – dalla giurisprudenza e da gran parte della dottrina – risarcibile.
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